Zhōngguó (“Regno di mezzo”), come i cinesi chiamano la loro patria, è ormai da tempo un colosso dell’economia mondiale.
I suoi 1,5 miliardi di abitanti, forti di una cultura ed uno spiccato senso di identità nazionale, sono il centro dei desideri di tutte le aziende che vogliono esportare i propri prodotti.
Attualmente la Cina sta vivendo uno dei periodi di maggior flessione dell’economia (solo un +6,6% nel 2018), nello stesso tempo in cui sta facendo il massimo sforzo per far crescere il mercato interno.
Ciò nonostante, l’interesse dei cinesi verso il mondo enogastronomico internazionale continua a crescere.
In tale contesto l’Italia viene sempre più considerata come punto di riferimento del “buon gusto”, inteso sia dal punto di vista della qualità del cibo che dello stile di vita alimentare.
Il Made in Italy è, infatti, anche in Cina sinonimo di qualità e di status, fattori che influenzano una significativa fetta di consumatori esigenti e con una posizione sociale privilegiata, stimabile in un potenziale di circa di 400 milioni di persone.
L’infinita storia di scandali alimentari verificatisi negli ultimi anni sul territorio cinese, ha determinato, inoltre, una particolare attenzione al controllo della qualità del cibo e un atteggiamento pregiudizievole verso i prodotti alimentari di provenienza locale.
Tale circostanza ha favorito, di conseguenza, lo sviluppo di un significativo spazio di mercato per i cibi di origine estera i quali, in considerazione della regolare importazione nel rispetto delle stringenti normative doganali, vengono considerati dai cinesi prodotti “altamente salutari” e “di qualità”.
Un comparto particolarmente interessante per le imprese italiane è rappresentato da quello vinicolo all’interno del quale si ripropone l’eterna sfida con i cugini francesi.
Nonostante, infatti, l’Italia preceda la Francia come leader nella produzione a livello mondiale, in Cina tuttavia alla parola vino 7 cinesi su 10 associano ancora oggi l’immagine dei prodotti francesi mentre solo 2 cinesi su 10 invece l’associano all’Italia!
Dal punto di vista della tipologia di vino, in Cina il 75% del mercato è rappresentato dai “rossi” e solo il 25% si divide tra bollicine (in aumento) e bianchi.
Sul bianco c’è anche un problema culturale da superare: bianco è il colore del lutto per i cinesi.
Inoltre, secondo la medicina tradizionale cinese, non dovrebbero essere assunte bevande fredde.
Nella nostra cultura l’abbinamento del vino con le pietanze e l’ordine in cui è servito è un particolare fondamentale: in Cina non è assolutamente così!
Nelle tavole cinesi spesso si trovano diverse bevande: la birra, il vino, il baijiu (tipico liquore cinese) e altre tipologie, senza badare minimamente agli accostamenti e all’ordine di consumo.
Infatti, il pasto cinese non è costituito da una sequenza ordinata di portate, ma i piatti vengono serviti tutti insieme.
Immaginare di proporre un vino in Cina imponendo degli accostamenti con la loro cucina è una follia in termini di marketing.
Ancora oggi, tuttavia, sono tantissime le aziende italiane che continuano ad approcciare il mercato cinese cercando di “imporre” usi ed abitudini prettamente nostrani ergendoli addirittura ad “elementi-chiave” della propria strategia di sviluppo internazionale.
In effetti, per le aziende italiane interessate ad entrare sul mercato cinese c’è ancora tantissimo da fare, soprattutto sotto il profilo dell’offering e della comunicazione.
Prima di intraprendere percorsi di export ed insediamento in loco sarebbe, infatti, saggio ascoltare chi ha già operato sul campo e conosce bene la cultura cinese, millenaria e permalosa: Dolce e Gabbana docet !!
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