Il processo di internazionalizzazione non può ricevere impulso solo da intuito, propensione al rischio e opportunità capitate per caso; incidendo profondamente sul modello di business dell’impresa, deve essere propriamente governato da un punto di vista strategico ed operativo.
Non è importare seguire quante più opportunità si prospettano in tanti paesi diversi. Al contrario, occorre selezionare attraverso un' analisi adeguata pochi paesi nel quale si ritiene sia possibile replicare le discriminanti di vantaggio competitivo domestiche.
I mercati maturi offrono certamente vantaggi cd di contesto che abbattono notevolmente la rischiosità di un insediamento locale a fronte, però, di una concorrenza più agguerrita di aziende domestiche ed internazionali che riduce l’aspettativa di profitto.
I mercati in via di sviluppo offrono invece aspettative di profitti superiori, ma nascondono rischi anch’essi superiori.
Una analisi seria si struttura in più fasi. La prima è rappresentata dal cd “screening” basato su indicatori particolari che mettano a confronto competitività complessiva del paese (come ad esempio i’indice GCI) e rischio paese. Questa fase porta ad escludere quei Paesi che, per fattori macroeconomici, non risultano particolarmente favorevoli per l’investimento da parte di società estere.
Definita una prima “short list” di Paesi oggetto di interesse, si valuta l’attrattività effettiva, quella presente, e quella futura. Per misurare l’attrattività effettiva si può osservare la capacità del Paese di attrarre investimenti esteri (verificando ad esempio l’indice FDI). Per misurare l’attrattività futura occorre fare riferimento ad indicatori macroeconomici generali oppure le stime del livello di consumi nel particolare settore in cui opera l’impresa.
L’ultima fase è quella di selezione del Paese (o di pochi Paesi) “target”. L’analisi si snoda nella valutazione del contesto competitivo di settore con particolare attenzione alle cd barriere d’ingresso, ed una realistica analisi SWAT che implichi una onesta valutazione delle risorse anche organizzative a supporto dell’insediamento locale. Non vanno sottovalutate le distanze a livello culturale, geografico, legale e amministrativo.
La gestione diretta dell’insediamento non può però essere affidata a risorse che abbiano operato soltanto nel mercato domestico. Occorre dapprima una struttura “ad Interim” con risorse domestiche che abbiano operato nei mercati internazionali per poi transitare alla organizzazione locale con risorse “del luogo” certamente più efficaci nella gestione soprattutto della domanda dei prodotti/servizi dell’impresa.
Ciò richiede investimenti e davvero tanta pazienza. La “velocità di business” nei paesi emergenti è minore rispetto alle economie più mature e le modalità di sviluppo richiedono tolleranza e capacità di adattamento a “rituali” diversi. Ma arrivare “prima” e stabilizzarsi in un contesto in crescita nel lungo termine comporta rendimenti dell’investimento superiori.
Nella gestione dei processi di internazionalizzazione in mercati emergenti si fa sempre più ricorso al temporary management. Da statistiche recenti, le piccole e medie imprese italiane utilizzano il TM per il 23% nei processi di internazionalizzazione, per il 23% per i processi di ristrutturazione e per il 15% per il cambiamento generazionale. Nei processi di internazionalizzazione, il TM fornisce quel raccordo “prezioso” e conveniente tra organizzazione attuale ed organizzazione “a tendere”.
L’assistenza della squadra di executive managers di Cross Hub fa leva su competenze eterogenee e multidisciplinari e su di un elevato livello di expertise manageriale, culturale e linguistico, acquisito soprattutto all’estero in oltre 20 anni di operatività sulle principali “rotte” di internazionalizzazione.
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